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Aprire un franchising all’estero: strategie, requisiti e due percorsi operativi

Aprire un negozio in franchising all'estero

Aprire un franchising all’estero — sia come porting in Italia di un marchio internazionale, sia come espansione esterna di un brand italiano — è un processo che richiede pianificazione strategica, tutela legale del marchio, analisi del mercato e un approccio strutturato alla compliance. Le opportunità sono significative, ma l’operazione va impostata con rigore e visione di lungo periodo, facendo riferimento alle normative nazionali specifiche dei Paesi coinvolti.

Aprire un franchising all’estero: una guida operativa

Espandere un’attività in franchising oltre i confini nazionali rappresenta una leva strategica per accelerare la crescita, diversificare i mercati e valorizzare un modello di business già testato. Il contesto europeo ed extra-europeo offre strumenti, framework normativi e modelli contrattuali consolidati, ma richiede un approccio rigoroso nella valutazione dei rischi, nella tutela del marchio e nella conformità normativa.
Secondo la European Franchise Federation, il franchising in Europa conta oltre 13.000 reti e più di 2 milioni di occupati, confermandosi un motore significativo dell’internazionalizzazione commerciale (European Franchise Federation, Impact Report 2024).

Di seguito vengono analizzati due scenari distinti:

  • Aprire un punto vendita italiano sfruttando un marchio franchising straniero.
  • Espandere all’estero un brand italiano secondo il modello del master franchising o dell’affiliazione diretta.

1. Portare un marchio franchising straniero in Italia

L’apertura in Italia di un punto franchising di un marchio internazionale richiede un percorso articolato che comprende conformità legale, valutazione imprenditoriale e adeguamento del modello operativo al contesto locale.

Requisiti normativi

Il quadro giuridico italiano è regolato dal D.Lgs. 129/2004, che disciplina la “affiliazione commerciale”. La norma definisce gli obblighi informativi del franchisor, tra cui:

  • consegna del documento informativo precontrattuale (DIP) almeno 30 giorni prima della firma;
  • presentazione dei dati economici del brand;
  • dettaglio degli standard operativi e dell’assistenza prevista.

Per un marchio straniero, il DIP deve essere tradotto e adattato al contesto italiano, includendo eventuali certificazioni, know-how, diritti di proprietà industriale e responsabilità operative.

Aspetti fiscali e operativi

Chi desidera aprire un franchising estero in Italia deve:

  • costituire una partita IVA e scegliere il codice ATECO adeguato;
  • verificare la compatibilità del format con le norme italiane su sicurezza, igiene, tutela del consumatore e disciplina dei contratti commerciali;
  • ottenere eventuali autorizzazioni comunali per attività food, retail o servizi.

Molti franchisor internazionali operano con accordi di area development o master franchising, affidando a un operatore locale la gestione e l’espansione del marchio nel Paese. Tra i settori più dinamici figurano ristorazione, beauty, fitness e servizi professionali.

2. Aprire un punto franchising italiano fuori dall’Italia

Il secondo scenario riguarda l’imprenditore che vuole portare all’estero un brand italiano. L’Italia è tra i Paesi con maggiore presenza di marchi franchising esportati, soprattutto nei comparti food, moda e servizi. Secondo Assofranchising, oltre il 27% dei franchisor italiani è già presente con almeno un punto vendita all’estero.

Scelta del mercato e analisi normativa

Ogni Paese applica normative differenti sul franchising. Alcuni — come Francia, Spagna e Brasile — impongono obblighi di disclosure simili a quelli italiani; altri — come Regno Unito o Paesi Bassi — adottano un approccio meno regolamentato basato sulla common law.

Prima dell’ingresso, occorre:

  • verificare la disciplina locale sul franchising (registrazione del contratto, DIP, tempi di validità, responsabilità precontrattuali);
  • proteggere il marchio tramite registrazione internazionale (Madrid System – WIPO);
  • definire se entrare tramite master franchising, joint venture, area developer o affiliazione diretta.

Aspetti logistici, fiscali e operativi

Aprire un franchising italiano all’estero richiede l’adattamento del modello ai consumi locali, il rispetto della normativa fiscale del Paese ospitante e la definizione di un piano di supply chain.
È inoltre necessario valutare:

  • dazi e requisiti doganali;
  • eventuali incentivi pubblici destinati all’espansione delle PMI italiane, come i programmi SIMEST per l’internazionalizzazione.

Particolare attenzione va posta agli standard ESG richiesti nei Paesi extra UE, soprattutto per attività retail e food, tema sempre più rilevante per investitori e partner commerciali.

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